Una santa particolare
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Santa Muerte - Una santa particolare
I mille nomi e i molti volti della Señora che abita le ombre
Se il sacro ha le sue etichette, Santa Muerte le ignora tutte. Non ama i titoli, non si cura dei dogmi e non si lascia facilmente imbrigliare in definizioni ecclesiastiche. È una santa solo per chi la considera tale, eppure per milioni di persone è ben più reale di qualsiasi figura beatificata. È la Muerte, la Señora, la Niña Blanca, la Flaquita. È la madrina degli ultimi, la sorella dei disperati, la confidente dei peccatori. E in ognuno di questi nomi si nasconde un frammento del suo mito, un tratto della sua personalità arcana, un volto che sorride o minaccia a seconda del bisogno.
“Santa Muerte” è il nome più diffuso, e già questo suona come un’eresia e un abbraccio insieme. L’unione di due opposti che non dovrebbero coesistere secondo la teologia tradizionale: la santità, emblema di vita eterna, e la morte, sua antitesi. Ma qui è proprio l’ossimoro a rendere la figura potente. Non è una santa malgrado sia la Morte. È santa perché è la Morte. Perché la sua presenza è certa, assoluta, ineluttabile. Non c’è grazia che tenga, non c’è intercessione che valga: la Santa Muerte non fa eccezioni, non concede favoritismi, non conosce compromessi. E proprio per questo viene amata.
La chiamano Niña Blanca, la “Bambina Bianca”, quando la si invoca per protezione, purezza, guarigione spirituale. Il bianco non è solo il colore della pace, ma anche della neutralità: la Muerte non prende posizione, non parteggia, non giudica. Poi c’è la Niña Negra, il suo lato oscuro, connesso alla giustizia, alla vendetta, alla protezione nelle guerre personali. Chi si sente attaccato, calunniato, tradito, trova nella versione nera della Santa una sorta di paladina delle cause senza tribunale. La Niña Roja, infine, domina l’amore, la passione, i legami carnali e i desideri intensi. La Muerte non si limita a portare via: sa anche legare, attrarre, incendiare i cuori.
Ma non è finita qui. C’è chi la chiama La Flaca (la magra), con affetto popolare, come si chiamerebbe una vecchia compagna d’infanzia. C’è La Bonita, la bella, in una torsione poetica che farebbe impallidire la critica d’arte. Per alcuni è La Madrina, una figura di guida e potere, capace di ispirare timore reverenziale ma anche conforto. Ogni nome è un codice, ogni invocazione un canale. Non si tratta di molteplicità casuale, ma di un sistema fluido di corrispondenze interiori: il fedele sceglie la sua Santa Morte, e la Santa Morte prende la forma che il fedele può comprendere.
In tutto ciò, l’ambiguità è il suo marchio distintivo. Non è buona né malvagia, né celeste né infernale. È qualcosa che si colloca oltre la dialettica della morale religiosa. Come gli dèi antichi, possiede qualità ambivalenti. Può guarire o distruggere, benedire o maledire, a seconda dell’intento di chi la chiama e del patto che si instaura. Un patto che è spirituale ma anche profondamente umano, spesso espresso con offerte materiali, promesse, rituali e preghiere sussurrate nel silenzio notturno di stanze fumose.
È una santa particolare, sì. Non solo perché il Vaticano la ignora con fermezza, o perché il clero la condanna con un misto di paura e disprezzo. Ma perché, al contrario dei santi ufficiali, lei non pretende di essere perfetta. Accoglie il ladro, l’assassino, la prostituta, il povero e il potente con lo stesso sguardo vuoto e la stessa falce in mano. Non chiede pentimento. Chiede sincerità. E in cambio, offre ascolto.
In un mondo dove anche il divino sembra sempre più distante, filtrato da gerarchie e dogmi, la Santa Muerte si presenta senza intermediari. La si prega direttamente, con parole nude, come si fa con la morte vera. E forse è proprio per questo che in tanti la sentono vicina: perché è spoglia, scomoda, invincibile. Ma anche, in fondo, incredibilmente umana.