Etica del contatto
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Etica del contatto: sacralità, responsabilità e confini nel rapporto con i defunti
Interpellare l’aldilà: gesto sacro o invasione dell’invisibile? Una riflessione sulla responsabilità spirituale e sulla necessità di discernimento quando si cerca il dialogo con l’Oltre.
L’idea di parlare con i morti — o, più propriamente, di ascoltarli — attraversa la storia umana come un filo d’oro e d’ombra. Che lo si chiami medianità, evocazione, contatto, o più sobriamente “ricordo attivo”, si tratta pur sempre di un’interrogazione rivolta a ciò che non è più, ma che — in certi casi — continua a essere. Eppure, come ogni relazione autentica, anche quella con i defunti non si improvvisa. Richiede rispetto, misura e soprattutto etica.
In un tempo in cui la soglia tra sacro e spettacolo si assottiglia con allarmante disinvoltura, parlare di etica nel contatto con l’aldilà non è un vezzo accademico. È una necessità. Perché dietro a ogni seduta spiritica improvvisata, a ogni messaggio “ricevuto” con leggerezza, si cela la possibilità di un errore: non solo pratico, ma anche spirituale. L’errore di credere che l’aldilà sia a nostra disposizione, come un oracolo on demand, quando invece è, e resta, territorio sacro.
Il primo problema è la motivazione. Perché si cerca il contatto? Per curiosità? Per dolore? Per bisogno di controllo? O per autentico amore? È una domanda semplice solo in apparenza. Molti bussano all’invisibile con l’animo agitato, sperando in una risposta che plachi, che risolva, che confermi. Ma non sempre ciò che si desidera coincide con ciò che è giusto. Interpellare un defunto, anche se amato, è sempre un gesto che implica un’apertura, ma anche una potenziale violazione. Per questo non basta il desiderio: occorre discernimento.
Esiste un’etica invisibile, un codice non scritto che afferma con forza sommessa: non tutto ciò che si può fare, si deve fare. La comunicazione con l’aldilà è possibile? In alcuni casi, sì. Ma questo non giustifica la sua pratica sistematica o disinvolta. Il contatto, se e quando avviene, deve mantenere la qualità del sacro. Deve essere rito, non consumo. Offerta, non pretesa.
Anche nel campo spirituale — anzi, soprattutto qui — la responsabilità è tutto. Chi cerca un messaggio dai defunti deve prima interrogare se stesso: ho il cuore in pace? L’intento è puro? Sto cercando per amore o per possesso? Chi facilita questi contatti — medium, sensitivi, guide — deve rispondere a un’etica ancora più stringente. Perché qui non si gioca solo con le emozioni altrui: si sfiora un mondo che non ci appartiene, se non per concessione.
C’è anche un’altra insidia, più sottile. Ed è quella della proiezione. Molto spesso ciò che interpretiamo come voce del defunto è una parte della nostra psiche che ci parla con un travestimento familiare. Questo non ne annulla il valore, ma ne cambia il significato. Non tutto ciò che si manifesta è altro da noi. E proprio per questo, anche il silenzio dell’aldilà ha diritto a essere rispettato. Non sempre chi amiamo vuole o può rispondere. Non tutto va “forzato” in chiave medianica.
Il folklore ci ammonisce, l’esoterismo ci istruisce, e la saggezza antica lo ripete da secoli: il mondo dei morti è vicino, ma non è nostro. È il regno delle ombre, dei sogni, delle intuizioni sottili. È un luogo da contemplare con reverenza, non da invadere con strumenti goffi o rituali raffazzonati. Ogni tentativo di contatto dovrebbe muoversi nella luce di una domanda interiore: sto cercando davvero di incontrare, o sto solo cercando di colmare un vuoto?
C’è una forma di guarigione che passa attraverso il ricordo, la preghiera, l’offerta silenziosa. E ce n’è una che può nascere anche da un contatto reale, mistico, imprevisto. Ma entrambe richiedono umiltà. Nell’etica del contatto non c’è spazio per il sensazionalismo, né per l’ego spirituale che vuole dominare l’invisibile. C’è solo spazio per il rispetto, il discernimento e la consapevolezza che ogni parola detta ai morti — o ricevuta da loro — pesa come un rito.
La responsabilità spirituale non è mai comoda, ma è l’unico modo per restare fedeli a ciò che il contatto con i defunti dovrebbe essere: un atto sacro, un gesto d’amore, un ponte di silenzio tra due rive.