L’altare di alfareria a Tepito
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L’altare di alfareria a Tepito
Il cuore vivo del culto: tra devozione, colori e polvere sacra
Se esiste un luogo dove la Santa Muerte respira, cammina e osserva, è senza dubbio Tepito. Quartiere leggendario di Città del Messico, da sempre marchiato da una reputazione di pericolo e marginalità, Tepito è anche il crogiolo in cui fede, disperazione e resistenza si fondono in qualcosa di irriducibilmente autentico. Ed è proprio qui che sorge uno degli altari più famosi e venerati dedicati alla Señora: l’altare di alfareria, custode della sua presenza più viva e tangibile.
Il termine “alfareria” — che rimanda all’arte della terracotta — non è casuale. L’altare nasce infatti da materiali poveri, umili, terreni: mattoni, ceramiche, oggetti di uso quotidiano trasformati in strumenti di sacro. Non vi è traccia di marmo, di ori sontuosi o di architetture ufficiali. L’altare, come la Santa stessa, si offre nudo e vero, spoglio delle grandezze umane ma ricco di una potenza ancestrale che si sente sotto pelle.
Fu Enriqueta Romero, meglio conosciuta come Doña Queta, a dare forma pubblica a questo spazio nel 2001. Fino ad allora, la devozione per la Santa Muerte era praticata quasi esclusivamente in forma clandestina, tra le mura domestiche o nei cortili nascosti. Doña Queta, rompendo un tabù lungo secoli, decise di esporre la statua della Santa sulla soglia della sua casa, in via Alfarería, proprio a Tepito. Un atto di coraggio, quasi di sfida, che trasformò il culto da fenomeno sommerso a manifestazione pubblica.
L’altare è, nella sua semplicità, un caleidoscopio di fede viva. La grande statua centrale della Santa Muerte — alta, vestita di tessuti cangianti, adornata con amuleti e nastri — è circondata da una costellazione di candele accese, offerte alimentari, fiori colorati, bottiglie di tequila, sigarette. L’odore pungente del copal bruciato satura l’aria, creando un’atmosfera densa, quasi liquida. A ogni ora del giorno e della notte, devoti si avvicendano: alcuni in silenzio, lasciando un fiore o una moneta; altri inginocchiandosi a recitare preghiere intense, a volte in lacrime.
Tepito, con il suo carattere ruvido, è il contesto perfetto per l’altare. La Santa non abita le cattedrali; abita la polvere, i graffiti, i volti segnati dalla fatica. Qui, tra venditori ambulanti, artisti di strada, madri che corrono dietro ai bambini e poliziotti che pattugliano diffidenti, la Santa si mostra per ciò che è: protettrice di chi non ha protezioni, giudice imparziale di chi è già stato condannato dal mondo.
Le feste in suo onore, soprattutto quella del 1° novembre — in concomitanza con il Día de Muertos — trasformano l’altare in un cuore pulsante di suoni, colori ed emozioni. Migliaia di persone si radunano per onorare la Señora: processioni, musica, danze, messe non ufficiali, offerte che si accumulano fino a sommergere la strada. È un caos sacro, una celebrazione della vita sotto l’ombra costante della morte.
Ma l’altare di alfareria non è solo un luogo di festa. È anche uno spazio di riflessione, di terapia popolare, di riconciliazione. Chi si inginocchia davanti alla Santa porta con sé sogni, dolori, rimorsi, speranze. E li deposita ai suoi piedi, senza paura di essere giudicato. Non importa chi sei o cosa hai fatto: alla Santa interessa soltanto la verità del tuo cuore.
Gli abitanti di Tepito proteggono l’altare come si proteggerebbe una madre antica. Nonostante le retate della polizia, i tentativi di rimozione da parte delle autorità religiose e le campagne diffamatorie, l’altare è sempre rimasto in piedi. Anzi, è cresciuto. Oggi rappresenta non solo un centro di culto, ma anche un simbolo di identità per un quartiere intero. Un segno di orgoglio, di appartenenza, di resistenza culturale.
Chi visita l’altare di alfareria porta via con sé qualcosa. Un senso di straniamento, forse, o di rispetto silenzioso. Una comprensione intuitiva che non tutto il sacro abita nei luoghi lindi e ordinati. A volte, il divino si trova nella polvere, nel rumore, nel disordine delle vite che si aggrappano con forza al filo sottile che lega il mondo visibile a quello invisibile.
E la Santa, imperturbabile, rimane lì. Sorridendo nel suo silenzio eterno, vestita a festa, avvolta di fumo e preghiere. Regina senza corona di un popolo che non ha mai smesso di credere nei miracoli — ma che sa, meglio di chiunque altro, che i miracoli vanno conquistati con fede, coraggio e rispetto.